La storia
- Non è facile
ricostruire la storia delle sue origini.
Non si
conosce l’anno della sua costruzione e le sue origini si perdono
nella notte dell’Alto Medioevo, prima dell’anno Mille.
Inoltre, a
causa delle tormentate vicende belliche subite nel corso dei secoli
è stata sottoposta a più distruzioni e ricostruzioni fino ad
assumere verso il 1300 e 1400 l’attuale fisionomia.
Per fare un
po’ di luce sulla sua origine è utile ripercorrere a ritroso la
storia del paese che da lei prende il nome: Torchiagina.
Il nome di
Tor-Chiagina compare la prima volta negli Annali Decemvirali del
1521, per indicare il paese che si era formato, a ridosso delle
proprietà della Torre: la Turris Clasina.
Prima di
allora il paese era chiamato semplicemente Chiagina o Clasina come
già compare in un atto notarile del 980 d.C.
Clasina era
un piccolo borgo medievale sorto accanto alle rovine di un antico
villaggio umbro-romano: il Casalino, che ancora sopravvive nel nome
di una strada vicinale dell’attuale Torchiagina e in un terreno
detto “del casalino” dove ancora oggi, arando, emergono cocci e
pietrame antichi.
I reperti
archeologici venuti alla luce: un sarcofago, attualmente conservato
nel Museo Romano di Assisi, frammenti di colonne, di mosaici,
capitelli e urne funerarie, ci rimandano ad un insediamento
umbro-romano del III secolo a.C.
L’insidiamento
doveva essere di una certa importanza dato che sono emerse tracce
della presenza di un tempio pagano. L’ultima citazione del Casalino
la troviamo in un documento del 21 novembre 1160, nel quale Federico
I Barbarossa indicò la Chiesa del Casalino (San Fortunato) come
termine di confine tra i Comuni di Perugia e di Assisi.
Sul luogo
sono succeduti tre diversi insediamenti: il Casalino in epoca
romana, la Clasina in epoca medievale e Torchiagina in epoca
moderna.
Con la
caduta dell’impero Romano nel 476 d.C., inizia la disgregazione
politica ed economica dell’Europa e dell’Italia.
Le frequenti
invasioni e devastazioni portano a un calo demografico, a una
recessione economica e produttiva sia nei centri urbani che nelle
campagne.
Villaggi e
campagne si spopolano e vaste aree agricole vengono abbandonate e
tornano ad essere incolte.
Per meglio
difendersi dai disordini e dai saccheggi le popolazioni iniziano a
trasferirsi in luoghi più difendibili: vici, castra, oppida, che
originariamente da semplici villae, palazzi, fundi, curtes, vengono
ampliati e trasformati in castelli o in borghi fortificati.
Le
fortificazioni spesso si limitano a semplici torri di guardia per le
sentinelle.
Anche gli
invasori germanici, specialmente i Franchi e i Longobardi
preferiscono vivere fuori dalle città in vici, curtes, castelli e
considerano la città e il castrum come sede amministrativa e luogo
di rifugio e difesa.

In questo
contesto anche l’antico villaggio umbro-romano, il Casalino, va in
rovina, ma gli abitanti superstiti non abbandonano il luogo
nonostante sia privo di difese naturali e ricostruiscono nel tempo
le loro abitazioni sempre lungo il fiume, leggermente più a nord ai
confini delle proprietà dell'attuale Torre.
La ragione
per cui il luogo non è stato abbandonato è da ricercare
probabilmente nella particolare fertilità del terreno e nella
presenza di un fondo agricolo attrezzato alla lavorazione
industriale dei prodotti della terra, attività strettamente
necessaria alla sopravvivenza e che perciò era opportuno proteggere
e difendere.
E’ in questo
periodo che si iniziano a fortificare fondi agricoli soprattutto
quelli dotati di mulini e altre attrezzature.
Una
pergamena del 980 d.C., conservata nell’archivio della Cattedrale di
Assisi getta un raggio di luce nell’oscurità di questo periodo.
E’ un
contratto di matrimonio stilato secondo la legge dei Longobardi da
un notaio di Assisi nell’ottobre del 980, tra il Signor Stefano di
fu Aforo, signore di Clasina e Adelberga, figlia di Lotario di
Assisi.
Era usanza
presso i Longobardi poter ripudiare la sposa dopo la prima notte di
matrimonio se non fosse stata trovata vergine o comunque la mancata
verginità poteva essere usata a pretesto per impugnare in qualsiasi
momento la validità del matrimonio.
Per
rimediare a questo inconveniente e garantire maggiore stabilità alle
famiglie, Liutprando nel 714 introdusse l’istituto giuridico della
Morgengabe = dono del Mattino, dono della quarta parte dei propri
beni presenti e futuri che lo sposo doveva dare alla sposa qualora
l’avesse trovata vergine nella prima notte di matrimonio. La
consistenza del dono doveva essere dichiarata pubblicamente davanti
amici e parenti il giorno dopo il matrimonio e registrato con atto
notarile.
Nel
morincaput del 980 sembra che Stefano, lo sposo, dimorasse in
Clasina e fosse il Signorotto di quel luogo.
Nel Medioevo
il Casalino si sposta progressivamente, lungo il Chiascio nei pressi
della Torre, in mezzo alle terre bonificate e dissodate dai coloni
dei benedettini di Santa Maria di Valfabbrica e di San Pietro di
Perugia, e incomincia ad essere indicato con il nome di Clasina.
E’ certo che
verso la fine dell’anno Mille vivevano nella zona feudatari di
origine longobarda, che avevano mantenuto le loro tradizioni e si
rifacevano alle loro leggi: “lex nostra longobardorum” e Stefano era
molto probabilmente un signorotto longobardo proprietario
dell’insediamento rurale sul Chiascio in Clasina presumibilmente
fortificato sia perché località di confine sempre molto contesa sia
per la difesa della sua attività produttiva.
Il Chiascio
era il confine che separava il Ducato di Spoleto e l’Esarcato
bizantino.
Al tempo di
San Francesco, nel 1160, contro questi feudatari longobardi
insorgerà il popolo del comune di Assisi.
Anche allora
i terreni di Clasina erano rinomati per la loro fertilità e molte
nobili famiglie come quella di Muzio di Francesco e del nonno di
Santa Chiara, Offreduccio Scifi ed enti, come l’Abbazia di San
Pietro di Perugia e la Chiesa di San Ruffino di Assisi, possedevano
qui terreni e proprietà.
Ulteriori
notizie riguardo a questo periodo si possono ricavare dagli scavi
eseguiti in occasione del restauro per il consolidamento strutturale
della Torre e relativa corte.
E’ emersa
una pianta all’origine più complessa di quella attuale, che
testimonia la presenza in epoca antica di un complesso industriale
più articolato di quello successivo.
Accanto alla
lavorazione di prodotti agricoli c’era anche la lavorazione dei
tessuti: lavanderia, tintoria e gualchiere.
Oltre le
gualchiere erano in azione anche la macina da guado e le mole per il
frantoio dell’olio e dei cereali, alcune delle quali ancora oggi
conservate nonostante la distruzione del mulino e delle sue
canalizzazioni idrauliche.
Al tempo di
San Francesco, dopo le lotte tra i nobili “boni homines” e il popolo
“homines populi” di Assisi si ha l’affrancamento dei servi della
gleba, e la Clasina ha modo di svilupparsi diventando una delle 51
Balie del contado di Assisi che nel 1232 è composta da 31 focolari
(nuclei familiari) con circa 200 persone.
Nel 1254
inizia l’influenza della Famiglia dei Brancaleoni di Piobbico su
molte città dell’Umbria e ad Assisi si insedia Ser Francesco della
Carda dei Brancaleoni, uomo d’armi e abile militare, che in virtù
dei suoi servigi riesce ad ottenere terre e palazzi tra cui quello
di Clasina, che nel 1383 troviamo citato come Palazzo Fortilizio in
Baylia Clasina e nel 1485 come Turrim Clasine, nel 1519 come
Oppidum Chiagina e nel 1521 come Turris Clasina.
Il figlio di
Ser Francesco della Carda è Muzio di Ser Francesco, canonico di San
Ruffino fino al 1309, quando fu scomunicato e ridotto allo stato
laicale dal Papa. Muzio ha possedimenti a Clasina e ha tre figli:
Pellola, Andrea, Carlo. Figlio di Carlo è Guglielmo di Carlo al
quale appartiene il palazzo fortificato “Guillelmi in Baylia Clasina”
come compare in un documento del 1383.
Nel 1385
Guglielmo di Carlo Signore di Assisi, viene cacciato dagli Assisani
con l’aiuto dei Conti Nepis e dei perugini e si rifugia nel Castello
di Torchiagina e di Torranca dai quali pure in seguito sarà
cacciato, per cui dal 1400 al 1460 la Torre ebbe come feudatari
Bertoldo Ranieri e suo figlio Guglielmo, seguito da Matteo Baldeschi
e dai suoi figli Pietro e Baldo, famiglia imparentata con i Baglioni.
Guglielmo di
Carlo ha una figlia di nome Nia, che compare in un documento del
1415, la quale costruisce nei pressi della Torre una fornace per
cuocere mattoni e coppi.
Nia sposa
Filippo Brancaleone di Piobbico dal quale ha Feltrano. Da Feltrano
nascerà Galasso e da Galasso Paride. Nel 1460, in seguito ad una
pestilenza, i Baldeschi abbandonano la Torre che viene subito
occupata da Feltrano di Piobbico.
Tre anni
dopo nel 1463 Braccio Baglioni scaccia Feltrano e il Papa gliela
concede in Feudo.
Nel 1495
Alessandro Fiumi la toglie ai Baglioni. Le due famiglie Baglioni e
Fiumi continuano a contendersela finché l’ultimo discendente dei
Brancaleoni, Paride di Galasso nel testamento del gennaio 1525 cede
alle Famiglie Baglioni e Fiumi in parti uguali i suoi diritti in
Torre Clasina per 600 Ducati ciascuna.
Negli
annuali Decenmvirali del 1521 appare per la prima volta il nome del
paese Tor Chiagina scritto staccato.
L’11 Aprile
del 1534 Braccio Baglioni relega la moglie Marsiglia nella Torre di
Chiagina per sottrarla ai corteggiamenti di corte e ne affida la
custodia al genero Annibale Baldeschi (74 anni prima, nel 1460, i
Baldeschi avevano abbandonato la Torre in seguito alla pestilenza).
Braccio
Baglioni una notte, avendoli sorpresi a letto insieme, uccide nel
letto stesso il genero e condotta la moglie a Perugia, la fa
decapitare all’indomani assieme a Cesare, fratello di Annibale,
nella piazza oggi “IV Novembre” perché sospettato di aver favorito
la tresca. Pochi mesi dopo i Baglioni cedono la Torre ai Conti
Fiumi in occasione del matrimonio tra Cesare Fiumi e una figlia
naturale di Braccio Baglioni.
Il tre
Ottobre dello stesso anno, il matrimonio viene celebrato nella
Torre, ma durante i festeggiamenti il pavimento della sala, gravato
dal peso dei troppi invitati, cede e finiscono tutti contusi al
piano di sotto, compreso lo sposo.
Nel 1542
Paolo III vince la guerra del Sale contro i Perugini e toglie tutti
i privilegi ai Comuni e ai feudatari.
I Conti
Fiumi mantengono il possesso della Torre fino al 1700 ma nel
frattempo perdono parte dei terreni che vanno a far parte di una
Grancia benedettina di San Pietro di Perugia.
Con la morte
dell’ultimo Fiumi (erede) avvenuta nel 1729 subentra la Famiglia
Bindangoli, commercianti bergamaschi.
Giacomo
Bindangoli, capitano della cavalleria pontificia ottiene nel 1751 il
titolo di Conte di Chiagina.
Nel 1759
troviamo i due cognomi Bindangoli e Bini associati in un documento
catastale, in merito ad una proprietà del Sor Conte Paolo Bindangoli
– Bini dove è inclusa la Torre di Chiagina e l’argine costruito
dalla famiglia per poter salvare dalle inondazioni il terreno
coltivato sulla riva destra del Chiascio all’interno dell’ansa.
I fratelli
Lorenzo e Giuseppe Bindangoli ottengono nel 1764 da Benedetto XIV il
permesso di fare una fiera il 27-28 agosto di ogni anno nella Torre.
Agnese
Bingangoli sposa un Bartocci e al crollo finanziario dei Bindangoli
subentrano i Bartocci.
Dopo i
Bindangoli-Bini-Bartocci la Torre passa alla famiglia Pascoletti di
Perugia che nel 1933 esegue alcune opere di consolidamento della
Torre applicandovi 4 tiranti, rimuovendo il tetto fatiscente e
ricoprendola a terrazza.
Nel 1976 è
proprietario della Torre Giuseppe Bacchi, imprenditore.
Nel 1980 la
proprietà passa alla Torre Chiascina Srl e nel 1984 a L’Arenella
Appalti Sas (società gestite dalla famiglia Bacchi).
Nel 1987
passa alla società La Torre Srl della famiglia Sorbo, commercianti
di Bastia Umbra.
Nel 1992,
ormai fatiscente, viene acquistata dall’associazione
di volontariato Alveare che la restaura per
destinarla ad attività socio-riabilitative e socio-culturali.
Fonti bibliografiche:
Francesco
Santucci: “Catalogo CIMA 1982”
Arnaldo
Fortini “Il dono del Mattino” e “Assisi nel Medioevo” (1959)
Cesare Cenci
“Documentazione di vita assisana”
Alberto
Grohmann “Per una tipologia degli insediamenti umani nel contado di
Assisi”
Baleoneus
Astur: “I Baglioni”
Mario
Sbrillo Siena “Storie del mio Paese” (1976)